AGENDA DIGITALE E GESTIONE D’IMPRESA
La gestione d’impresa non va mai disgiunta da un anelito di innovazione sistematica.
Chiamata questa, come si vuole, con il gergo largamento abusato di innovazione di prodotto, di processo, di cultura, di approccio al mercato, di finanza innovativa o altro impone al management di pensare sempre al nuovo come abitudine mentale.
La prassi operativa senza generazione di valore nelle piccole come nelle grandi cose porta, infatti, nel tempo le imprese al graduale indebolimento se non al declino.
Chi scrive sa per certi questi principi , per averle appresi da giovane nel 1979/80 nel ruolo di consulente interno della banca partecipando ai lavori del Gruppo McKinsey, gruppo che all’epoca si presentava con nomi del calibro di Gian Emilio Osculati, Enrico Cucchiani, Alberto Amaglio ed altri, personaggi divenuti managers di eccellenza, a livello nazionale ed internazionale, posti in seguito a capo di grandi imprese bancarie, finanziare e di multinazionali.
La consulenza strategica era stata chiamata per riorganizzare gli assetti di Filiale con la costituzione di Aree funzionali per il governo del territorio e per ridefinire organigrammi, posizioni, ruoli nella rete. Da quei managers ha tratto l’insegnamento del fatto che il processo organizzativo e di innovazione deve essere un dato permanente delle aziende eccellenti.
Nel 1984 Osculati scrive il libro delle 7S “Organizzare con successo”; l’arte di gestire una azienda. Libro che pervenne in dono con l’invito a studiare ed a meditarne le applicazioni concrete. In anni successivi, dal 1988 in avanti, in occasione del progetto strategico dei sistemi informativi l’inesperto bancario aggiungeva alle prime nozioni di carattere generale un secondo insegnamento ancora più pregnante cosi declinabile: “se non si dispone di risorse e strumenti e idonei, l’anelito all‘innovazione raccomandata come modello o ancora come habitus culturale o persino come modulo di governance imposto da regolamentazioni speciali ( nelle banche come anche nelle aziende ) da solo non porta a nulla. [1][2]
Il materiale di studio
Non è un caso che ancora oggi gran parte delle fonti disponibili in rete di ogni genere, delle tante società di consulenza e le fonti delle università di rango, utili anche per fare convegni e presentazioni o per scrivere altri libri, alla base ed a fondamento della parola “innovazione”, abbiano un unicum condiviso: indicano cioè sempre modalità di processo nuove, coerenti con i tempi e i mercati che insistono su investimenti in IT – information tecnology, Tl-c Telecommunication e softwares.
Con questi ultimi in particolare si ridisegnano i processi operativi, gestionali e strategici ( Bpr- business process reengineering) con applicazioni scritte e pensate da chi ha la padronanza assoluta delle materie di riferimento sulla base delle indicazioni target dell’alta direzione delle aziende se non addirittura dei Consigli di amministrazione.
Non c’è, infine, rivista mensile prodotta da ognuna di queste società di consulenza e dalle Università di rango, nazionali o estere, che non ripeta forte l’invito per i managers di ricercare sempre l’impiego di risorse strumentali innovative, non disgiunte dalla rivisitazione dei processi supportati da applicazioni coerenti con il nuovo disegno sotteso.
L’angolo di osservazione delle posizioni [3]ricoperte in azienda da chi scrive, nelle quali risiedevano per definizione obiettivi di cambiamento, ha rafforzato quel convincimento e quelle nozioni.
L’azienda non avrebbe potuto portato a casa nulla di nuovo se nella gestione del ruolo con responsabilità di risultati non si fosse potuto disporre e contare sugli “strumenti” della innovazione costituiti dalle leve sostanziali, utili per imporre il cambiamento.
Imporre il cambiamento e non suggerire.
Le leve ( Information technology, Tlc telecomunication e softwares ) rappresentano il grimaldello per scardinare burocrazia, prassi, posizioni di rendita, comportamenti , parassitismi etc etc e per produrre reale innovazione pur con le inevitabili controindicazioni che generano migrazione di uomini e talvolta anche snellimenti non condivisi dalle controparti sindacali.
Chi nella banca non si occupa di credito, di commerciale e di finanza di fatto non appare, vive nell’ombra: ma se sta nella supply chain con poteri riesce a guidare la macchina e contribuisce a dare le accelerazioni giuste.
La azienda delle persone neppure si accorge giorno per giorno, dei profondi cambiamenti che arrivano, che li riguarda e che modificano il sistema di lavoro di riferimento. [4]
Un caso concreto.
Nel 1996, dopo i noti eventi della Bad Bank , il Banco di Napoli imboccò la strada di una innovazione radicale :dieci i progetti strutturali[5] che ne cambiarono il volto e l’assetto funzionale. Contribuirono a modificare all’esterno la percezione ed il valore. Nei fatti si ridiede un diverso assetto alle funzioni commerciali ed alla rete, cioè agli sportelli e di conseguenza anche alla direzione generale nelle rispettive aree di governance: commerciale, credito, finanza.
Tutti i progetti ebbero a supporto ricche implementazioni nei sistemi informativi.
Sarà stato anche a cagione di ciò ed una cosa si può ben dire: il valore iniziale del nuovo corso dopo la pulizia dei crediti era stato nel 1996, al 31 12 a chiusura di bilancio, di circa 60 miliardi; richiese per sopravvivere una ricapitalizzazione di circa 2000 miliardi con l’apporto di fondi nuovi. Ma nel 2001, alla fine della corsa durata 5 anni e di tutti i progetti portati a termine, il prezzo di vendita divenne di miliardi 6000 circa. In quel dato finale va sicuramente individuato parte del goodwill connesso ai grandi cambiamenti ed alle innovazioni resi possibili con gli investimenti che avevano consentito anche adeguati snellimenti e pulizie; cioè era stato fatto un buon “LEAN”.[6]
Buona parte di quel goodwill nasceva dalla rinnovata capacità di gestire il mercato ricostruita attraverso il ridisegno di tutte le funzioni, soprattutto nei processi di filiale, supportati da adeguati e riscritti sistemi legati all’uso della risorsa tecnologica. Senza information Technology nulla sarebbe stato possibile né prima né dopo. Per questo progetto la banca si avvalse della Boston Consulting Group, leader nel mercato mondiale delle strategie commerciali. Il gruppo di consulenti contava sull’apporto di un team di eccellenza guidato da un leader partner: Massimo Busetti.
Un piccolo confronto con le esigenze della nostra società e con la Agenda digitale
Questa è la ragione che induce a coltivare e ad insistere sulla focalizzazione della mission manageriale sull’Agenda digitale nazionale[7], mission che deve riguardare tutte le posizioni di governance nella pubblica amministrazione e nel settore pubblico allargato e nelle imprese private.
Per portare risultati concreti nella società e nelle aziende occorre far parlare tutti di Agenda digitale, anche i cittadini.
Ed occorre individuare centri che, a collaterale della stessa pubblica amministrazione, si facciano facilitatori e carico di questa mission informativa e divulgativa.
Tutti lo sanno, tutti lo dicono, tutti fanno congressi sul cambiamento ma il cambiamento non avviene.
Perché? perché l’Italia non cambia, la Pubblica amministrazione non cambia, le università non cambiano, i cittadini non cambiano ?
La risposta non è difficile. Non c’è una diffusa e consapevole informazione, non degli addetti ai lavori che si autorefenziano e che spesso fanno ciò che serve solo a loro, ma dei destinatari delle diverse agende nei “diversi settori” applicativi della vita: che sono tanti quante sono le aree nelle quali il cittadino si pone come controparte o soggetto attivo, in qualità di civis digitale, di soggetto destinatario dei nuovi diritti dello status di cittadino digitale in una società che deve puntare per competere in una Europa che corre e che cammina ad una velocità diversa ( per non dire di altre zone nel mondo ) sullo sviluppo delle cinque “E” scritte già nel trattato sull’Unione Europea del 1993 e ribadite nel successivo trattato di Lisbona del 2007 : E-gov. E-healt, E-learning, E-Commerce, E-enterprise.
Gli esempi sbagliati
Spesso per disseminare incertezze e indebolire il processo si fanno esempi sbagliati ( è capitato recentemente e perciò si cita il caso); si indica la Giustizia, che ha tanti altri problemi, come pecora nera in negativo del processo digitale. La giustizia, evvero, ha un ritardo decennale, ma ora è un cantiere enorme, è in itinere ed è a grande impatto e sta sconvolgendo la società del diritto.
Nelle relazioni dei giudici della suprema Corte di Cassazione di qualche giorno fa se ne è fatta una interessante rappresentazione e sono stati dati tutti i numeri dei processi e dei risparmi già conseguiti da parte di tutti. [8]
Forse sarebbe bene parlare, pertanto, avendo a disposizione fonti e documentazioni ed averle lette.
In altri termini alcune resistenze sono state fiaccate cosi come sono stati forniti anche gli strumenti; magistrati ed avvocati sono ora alla frontiera di un nuovo secolo. I dati parlano da soli. I cittadini utenti forse non sanno che anche ad essi è consentito seguire l’evoluzione delle cause che li riguardano.
Quindi non si può continuare, come si legge, a fare l’esempio della duplicazione della documentazione anche attraverso il cartaceo, cioè dei casi limite, frutto di decisioni di taluni tribunali su cui certa stampa ha fatto ricami.
Anche i giornali ci mettono del loro per non aiutare. Sulla serietà sino in fondo e sulla verità sino in fondo dei giornali c’è talvolta da dubitare.
Anche la stampa deve subire il poderoso processo di innovazione che non è senza tecnologie. L’agenda delle società editrici è in grosso affanno deve prendere piede altrimenti le testate scompaiono o scoppiano. Occorre leggere i numeri che li riguardano per capire. La caduta nella vendita dei giornali, non compensata dalla crescita delle testate on line, diventati appena 3,2 milioni di copie a livello nazionale la dice tutta. In un anno il settore ha fatto registrare un meno 400 mila copie. Forse anche l’editoria deve prendere atto, come sembra stia accadendo, che ha bisogno di un’agenda digitale che alzi soprattutto il livello qualitativo all’informazione su cui c’è tanto da riflettere.
Il benaltrismo altro tentativo per menare il cane per l’aia.
C’è poi chi invece vorrebbe dall’innovazione ancora di più: cioè il ben altro, frutto della filosofia del benaltrismo. Chi evoca grandi disegni strategici inattuabili con le risorse che si hanno sottomano non si sofferma troppo sulle esigenze attuali. Le grandi novità hanno i loro tempi di incubazione e prima di diventare “fatti” abbisognano di tanti elementi a contorno, prima di tutto di un sistema di produzione e di gestione di adeguato livello che in Italia, si sa, non c’è avendo noi tanti anni fa rinunziato ad investire nelle aziende di It strategiche e nelle grandi aziende di sviluppo del softwares. Olivetti insegna. Siamo una società/ nazione dipendente senza players nazionali. E meno male che c’è tanto interesse per le nostre cose al punto che l’ultima società di software italiana, la Engeneering spa, sta per passare di mano e cosi potremo finalmente dire di non disporre di nessuna azienda strategica con la governance stretta nelle mani di imprenditori nazionali.
Dobbiamo perciò, forse, essere un pò più umili e concreti prima di invocare altre opportunità quali ” l’internet 4.0 o l’internet degli oggetti”, naturalmente in mani altrui, frutto di aspirazioni apprezzabilissime che danno solo l’idea della cultura in movimento da parte di chi ne parla.
Sarebbe, quindi, molto meglio focalizzarsi su un minimo di agenda digitale, anche cittadina se serve alla collettività di riferimento, in un’Italia che stenta , aiutando a demolire le tante resistenze ancora in campo perché i cittadini, i veri fruitori dei vantaggi finali, sono tenuti lontani dalle informazioni giuste.
Che sono quelle che riguardano la pubblica amministrazione dei burocrati, delle dirigenze nascoste, della medicina che si scontra sulle scartoffie dei meandri amministrativi e delle imprese che non fanno dell’innovazione la loro leva fondamentale ,sempre preoccupate di non rendere trasparenti i loro bilanci e le loro caratteristiche, specie nel nostro mezzogiorno. Ragione quest’ultima che spesso priva le imprese della possibilità ed opportunità di accedere alle fonti finanziarie agevolate che prevedono la massima trasparenza e leggibilità dei loro dati.
Un cenno alla innovazione strutturale di Sistema, cioè degli assetti
Anche questa nota nasce da un utile confronto sul tema della innovazione come spinta a produrre cambiamenti
Tutto quanto innanzi non esclude ma anzi postula come prioritaria l “innovazione strutturale della società”.
E’ questo un discorso diverso ? No; è solo di più alto profilo politico e di cambiamento radicale perché riferito al quadro socio economico e delle regole istituzionali.
La “Mazzuccato”, nel suo volume lo Stato innovatore, ad esempio, ma lo fanno anche altri autori, ripropone paradigmi sul ruolo dello Stato che solo sino a qualche anno fa venivano considerate bestemmie dal liberismo. E’ una visione che deve naturalmente fare i conti con la UE.
E’, quella della Mazzuccato, una proposta innovativa di fondo sul ruolo dello Stato; che viene molto prima di tutte le altre. E’ molto stimolante perché rimette nelle mani dello Stato leve importanti della innovazione quando esse non possano essere curate e coltivate dai protagonisti dell’economia reale: imprese e soggetti privati che per definizione hanno ruoli limitati e poco incisivi.
Non è un caso che il secondo capitolo del suo libro sia poi così intitolato: tecnologia, innovazione e crescita. Se ne consiglia la lettura.
Ma come ben si comprende è un cambiamento che attiene alla concezione del ruolo della macchina statale che postula ben altri modelli Istituzionali destinati ad aprire fronti di battaglie politiche che appaiono, alla sola idea, improponibili.
Il tema rientra nello scenario culturale che si legge nel testo di Daren Acemoglou e James A. Robinson “perché le nazioni falliscono”, tomo di ben 452 pagine in cui si sostiene che le innovazioni strutturali sono all’origine di potenza, prosperità e povertà delle nazioni e fanno la differenza tra le Nazioni.
Sono a fondamento delle iniziative sui cambiamenti istituzionali, tanto necessari ma altrettanto contestati nel caso Italia soprattutto da chi dice che di quelle riforme il popolo non sente il bisogno, che stanno facendo perdere solo tempo e pace sociale mentre occorrerebbe pensare ad altro, a cose più terra terra: lavoro, occupazione etc etc. Che pure non vengono trascurate. Forse non è superfluo anche dire che il popolo ne ignora gli effetti, e che i politici ben si guardano dallo svenarsi perché più impegnati sul risultato elettorale immediato e non sulla stabilità che è un valore di lungo periodo.
Naturalmente non si può essere d’accordo con queste opinioni alimentate anche da una parte minoritaria della sinistra dem, nel paese, oltre che dai partiti di opposizione. Per questi se ne può comprende la posizione ostativa.
Talvolta, come succede da noi, è proprio l’assetto istituzionale a fare da freno alle innovazioni secondarie, ma non di secondo livello , dei processi , delle procedure e delle applicazioni legislative.
L’esempio dell’Italia calza a pennello per le tematiche trattate, giacchè proprio le autonomie e le autarchie delle Regioni e dei Comuni (che si vogliono in parte modificare melius ridimensionare con la modifica del Senato ed altro) sono e sono stati il freno più evidente alla diffusione di una infrastruttura di sistema nell’It o nella gestione dei data base e dei softwares per la pubblica amministrazione.
Abbiamo sin qui realizzato un paese di arlecchinate informatiche per sistemare le quali e ricondurre tutto ad armonia occorreranno sforzi immani che poco c’entrano con i sistemi e che invece attengono alla impenetrabilità delle mura tecnologiche erette per le gestione del particulare. E tutto questo è avvenuto in un paese nel quale le autarchie hanno prodotto altri guasti ben noti: nella Sanità e nella politica, territori sotto controllo. Figuriamoci cosa è successo nell’It nella quale il Governo Centrale non ha mai avuto un potere reale al punto che tutte le norme del CAD ( Codice della amministrazione digitale ) sono norme imperfette cioè senza sanzioni; affidano ai comportamenti virtuosi delle amministrazioni periferiche ( Regioni, Province (ex) e Comuni ) la attuazione delle direttive.Il che è quanto dire.
Federico d’aniello
Ex ceo dei sistemi informativi del Banco di Napoli
http://www.agid.gov.it/
[1]
[2] Il fondamento del nuovo assunto entrò nella cultura dei manager con i tre libri sotto richiamati ( ricevuti naturalmentein dono da studiare e conservare tra quelli basilari perché fondamentali nella professione del bancario che innova): Information system management in practice 1990 , di Barbara Mc Nurlin e Ralfh H.SpragueJr; The Business Value of Computers An Executives Guide 1990, Paul A. Strassmann e Technology in Banking Creating Value and Destroyng Profits 1989 di Thomaa Steiner e Diogo B Texeira ( tutti di case editrici americane ).Costituivano all’epoca il cavallo di battaglia della scienza americana dell’innovazione anche a supporto delle teorizzazioni di Drucker , teologo della scienza organizzativa.
[3]Titolare dell’area amministrazione della Filiale di Napoli , filiale con un numero enorme di addetti di circa 1400 unità ( anni 85/88), CEO nei sistemi informativi( 88/94) con 600n addetti, nell’Organizzazione ( 96/2001) Capo della Funzione Organizzazione della banca per le filiali e la direzione generale
[4] Una testimonianza ed una lezione alla università di Pavia per la cattedra di Diritto Pubblico del prof Cordini sul tema benchmarking tra e-gov e l’e-banking, di cui si conserva il testo, ha consentito di raccontare i motivi del successo del sistema bancario in generale nel particolare settore della innovazione nel confronto con la lentezza e la vischiosità della macchina pubblica
[5] [5] Di essi si dispone di una ricca documentazione che di tanto si rilegge per valutare cosa è stato trasferito nella fase del passaggio al San Paolo
[6]Opera di efficientamento, snellimento, razionalizzazione: metodologia applicata dalla grandi aziende internazionali che nasce alla Toyota e che è ora impiegata in tutto il mondo anche nelle nostre medie aziende del Nord Est.
[7] I cui testi possono essere consultati e scaricati sul sito dell’Agid e che sono stati riscritti da ultimo per tenere conto di tutte le recenti aperture previste dai finanziamenti europei 2014/2020 e dalla legge di stabilità per l’anno 2016
[8] Alcuni dati , ma solo alcuni: Oltre 10 milioni di depositi telematici, con una media di 800.000 al mese, destinati ad aumentare con l’introduzione a giugno 2015 della possibilità di deposito telematico degli atti introduttivi del giudizio; 36 milioni di comunicazioni consegnate via PEC, circa 1,2 milioni al mese, con un risparmio stimato di circa 124 milioni di euro; quasi 6 milioni di accessi al giorno alla consultazione dei registri e dei fascicoli; oltre 20 milioni di documenti informatici archiviati e gestiti dai sistemi civili; garanzia di accesso per 1 milione di utenti fra magistrati, avvocati e consulenti del Tribunale iscritti nei pubblici elenchi, oltre a tutti i cittadini potenzialmente interessati da un procedimento giudiziario civile.